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Diagnostic orthodontique - 30/06/11

[23-465-A-10]  - Doi : 10.1016/S1283-0860(11)56133-0 
E. Lejoyeux  : Professeur à la faculté chirurgie dentaire, Paris VII
32, boulevard de Courcelles, 75017 Paris, France 

Articolo archiviato , inizialmente pubblicato nel trattato EMC : Odontologie

Résumé

La plupart des patients consultent pour des raisons esthétiques. Tous les praticiens sont devenus conscients de l'environnement parodontal, musculaire et articulaire de la denture. Ils disposent des ressources quasi illimitées offertes par la conjonction de techniques orthodontiques, orthopédiques et chirurgicales diverses et performantes. Si, comme nous le croyons actuellement, 75 % du succès d'un traitement orthodontique repose sur la qualité du diagnostic, une large part de leur temps doit être consacrée à l'étude des cas. L'idée d'une telle primauté n'est pas nouvelle puisqu'on peut en retrouver la trace dès les années 1950 dans les publications orthodontiques françaises. Qu'est donc devenu le diagnostic orthodontique ? Il a connu une évolution profonde, tout en conservant une base traditionnelle incontournable. Après avoir réfléchi à sa nature, il est intéressant d'en parcourir les principales étapes, d'évoquer les domaines où il s'applique, les moyens dont il dispose pour reconnaître et identifier les anomalies, et les buts qu'on peut lui assigner. Quels sont les référentiels utilisables ? Existe-t-il un langage particulier pour formaliser les conclusions ? Qu'appelle-t-on aujourd'hui un « bon diagnostic » ?

Il testo completo di questo articolo è disponibile in PDF.

Mots clés : Diagnostic, Orthodontique, Examen clinique, Denture, Dysharmonie, Sourire, Analyse céphalométrique


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